LA LUNA


racconto
di
Giovanni Francomacaro



Tonio camminava una sera d'estate in compagnia del proprio bastone.
Era buio e non c'era la luna, che strano, ma Tonio camminava sicuro: conosceva la strada. Camminava per i campi di notte per tornarsene a casa. E' brutto essere soli; può capitare d'addormentarsi nel campo e non c'è nessuno che ti svegli, nessuno che ti venga a cercare.
"Poco male", pensava Tonio,
"stanotte parlerò con i grilli, e poi che bella la notte: quante volte l'ho vista e ancora non la conosco".
Tonio si fermò, trasse una fiasca da una vecchia e logora borsa e bevve un sorso.
Ancora lontano brillavano le luci del paese: mezz'ora di cammino, forse un'ora col buio, e poi sarebbe arrivato.
Tutti in paese lo conoscevano, Tonio: "è matto, o scemo, e non sa parlare, neppure la Lina, lei che ci conosce tutti" dicevano gli uomini, mai l'ha visto; vuoi vedere che a cinquant'anni è ancora vergine"?
Tonio a cinquanta anni è ancora vergine, non conosce una donna, non l'ha mai conosciuta, neppure sua madre.
Chissà quale gente, forse sfollati lo avevano portato in paese sul finire della guerra, e poi era scomparsa, lasciandolo solo in mezzo alla piazza del paese.
Da allora non se ne era più andato. Nessuno gli aveva chiesto da dove veniva, né lui avrebbe saputo rispondere: Tonio non parlava, forse le bombe lo avevano spaventato, chissà, Tonio non parlava e così nessuno gli faceva domande.
Soltanto ordini, quelli si, gli davano, e a questi Tonio sempre aveva obbedito, tanto che era diventato l'uomo di fatica del villaggio, oltre che il classico "scemo".
Quella notte, notte, d'agosto, mentre tornava da un campo, Tonio vide una luce cadere dal cielo.
Più che cadere sembrava dondolare cullata dall'aria. Pareva lontana un miglio, tanto era fioca, ma bastò allungare una mano per afferrarla.
Presa che l'ebbe Tonio si meravigliò, tanto era leggera, e morbida, se una luce può essere morbida. Non era una lucciola, lui le conosceva bene: quante volte le aveva afferrate nelle sere di maggio, e portate nel pagliaio che gli faceva da casa le guardava brillare, la sua unica luce.
"Lascia stare le lucciole" gli dicevano le vecchie, "sono le anime dei morti che cercano la loro casa". Ma lui le prendeva lo stesso; cosa potevano fargli i morti, peggio dei vivi?
No, non era una lucciola, ma si sentiva contento come quando era bambino. Tonio, senza neppure sapere perché, si mise in tasca quella minuscola luce e s'incamminò contento cantando una strana canzone, che lui solo sapeva.
Finalmente Tonio arrivò al paese. La gente, che le sere d'estate se ne sta sull'uscio a prendere il fresco o a tirare di pipa, lo salutò come sempre, con qualche lazzo o qualche comando: "ciao Tonio, sei andato dalla tua bella stasera?" - "Vieni da me domani, che c'è il campo in fondo alla valle da vangare".
Tonio come al solito, faceva un cenno e passava dritto. Domani già all'alba sarebbe andato al campo e l'avrebbe vangato.
"E la bella? Cos'è la bella" pensava Tonio.
"Una donna"? E guardava le donne, le donne del paese: le vecchie senza denti attaccate alla terra a cui, se avessero potuto, avrebbero cavato il midollo; e quelle più giovani, che ancora cercavano l'uomo; gli facevano paura quando lo guardavano con uno sguardo cattivo.
"La miseria fa schifo" - dicevano - "proprio come te".
E le ragazze, quelle non le aveva mai viste, sempre abbassava lo sguardo quando le incontrava e, senza capire perché, le loro risa gli ferivano il cuore.
Poi c'era la Lina, quella si, forse gli voleva bene. "Vieni" - gli diceva ogni volta che lo vedeva - "vieni da me che parliamo un po'".
Ma Tonio tirava avanti senza rispondere. Sorrideva dentro però. La Lina era l'unica che gli ricordasse sua madre.
Tonio giunse alla sua baracca; accese un lume a gas, come quello che usavano una volta la cui luce, più che rischiarare, pareva dare vita ad innumerevoli ombre, prese da una madia una forma di pane e del formaggio e si mise a tavola.
Tonio mangiava piano, in silenzio. Era troppo povero per permettersi una radio o addirittura la televisione.
Poi quelle cose lui proprio non le capiva. Qualche volta gli era capitato di vederla la televisione, in casa di qualche fattore: una strana macchina accesa per nessuno, al centro di una grande stanza, a mostrare se stessa; ma quelle figure, quella musica che ne usciva, gli era estranea, incomprensibile. Da quale mondo provenivano quelle immagini? Tonio non lo sapeva, né gli interessava. Tonio la sera guardava le stelle, e d'inverno le ombre della sua stanza. Ma quello che guardava più di frequente era il fondo di una bottiglia di vino, quando ne rimaneva ancora qualche dito; allora stava per ore a guardare delle piccole crespature provocate da chissà quale vibrazione, fino a quando gli occhi, stanchi di vagare su uno sconfinato oceano di rubino, si chiudevano e allora andava a dormire.
Tonio mangiò in silenzio e si spogliò per andare a dormire, ma appena che si fu spogliato si ricordò della luce che aveva trovato, allora la tolse dalla tasca e la pose sul tavolo. Meravigliato si mise a guardarla; non aveva mai visto niente di simile: per quanto la guardasse non riusciva a vederne i contorni, era solo una debole luce, tanto che si poteva guardare senza ferirsi gli occhi.
Questa luce era ferma sul tavolo, ma pareva muoversi di un suo movimento interno. Sembrava una di quelle luci che nelle chiare notti di luna piena corrono sull'acqua di uno stagno: lievi come una carezza e gioiose, tanto che uno non si stancherebbe mai di guardarle.
Tonio non sapeva perché, ma quella luce lo affascinava. Non perché fosse prodigiosa - in una mente semplice tutto è prodigioso - ma perché gli ricordava qualcosa.
Qualcosa che aveva già visto ma non sapeva dove, né quando; forse in sogno, un sogno di tanti anni fa.
Infine, stanco di inseguire il mutevole fluire della memoria, prese quella piccola luce e la rinchiuse in una scatola di metallo: una vecchia scatola di biscotti che per quanto andasse indietro nella memoria, aveva sempre avuto con sé. La scatola conteneva delle fotografie di gente che non aveva mai visto, delle medaglie con dei nastrini colorati che tanto gli piacevano quando era ragazzo, delle monete, che nessuno aveva mai voluto, e un rosario, che sapeva essere una cosa di donna, e quindi non lo aveva mai toccato.
Tonio chiuse La scatola, spense il lume e se ne andò a dormire.
Ogni notte ha il suo rumore, che è di quella notte e di quella soltanto; ed anche quando il silenzio è più profondo e persino l'erba smette di crescere, un orecchio attento potrebbe sentire lo sfrigolio delle stelle.
Ogni notte ha un suono diverso, eppure sempre lo stesso, ma quella notte Tonio, nonostante la stanchezza, non riusciva a prendere sonno. C'era un rumore, un rumore nuovo che mai aveva sentito. Più che un rumore sembrava un respiro: lieve come quella brezza che nel mese di giugno lenta indugia sui campi di grano.
Stanco di aspettare un sonno che non si decideva a venire Tonio aprì gli occhi e, con sua grande sorpresa, si accorse che la stanza era illuminata.
Forse si era dimenticato il lume acceso, pensò, eppure era sicuro di averlo spento. Poi quella luce era strana, non era dorata come quella del lume, o rossiccia come quella della candela; sembrava piuttosto quella luce argentata che spesso la luna conferisce alle cose che più ama.
Ma quella notte la luna non c'era, poi quella luce non proveniva da fuori, ma sembrava venire dall'interno della stanza.
Tonio si mise a cercare il lume per vedere se per caso se lo fosse dimenticato acceso quando, all'improvviso, vide qualcosa che gli fermò il sangue nelle vene:
seduta al tavolo, con le gambe distese e il capo reclinato su di un braccio, stava una giovane Donna. Bellissima. Subito Tonio pensò di stare sognando. Altre volte gli era capitato di sognare delle donne, specie la Lina, ma queste donne tutte lo toccavano, cercavano di trattenerlo fino a che, preso dallo sgomento, si svegliava.
Questa invece, immobile, dormiva; e come si poteva sognare di dormire?
Tonio non aveva mai visto quella Ragazza, nessuna in paese Le assomigliava, né tantomeno Essa assomigliava a quelle strane donne che qualche volta gli era capitato di vedere su pezzi di giornale.
Mentre la osservava il volto della Donna pareva mutare: ora sembrava una fanciulla, ora una donna matura e né lo sguardo né la mente riuscivano a decidere.
Una cosa soltanto era certa: quella Donna era bellissima.
Così bella che mai, neppure in sogno, Tonio ne aveva vista una simile.
Il Suo viso, rotondo e regolare, era di un candore quasi abbagliante, come si intuiva sarebbero stati luminosi gli occhi, se soltanto fossero stati aperti.
Gli occhi, anche socchiusi, erano così dolci che invitavano ad essere baciati ancor più che la bocca, piccolissima, leggermente socchiusa nel sonno.
I capelli neri, forse blu, erano lunghissimi e, scivolando sulle spalle nude, scendevano fino alla vita, sciolti.
Era vestita d'un abito bianco, leggerissimo, tanto da sembrare trasparente, che Le arrivava fino ai piedi ma lasciava scoperte le spalle; attraverso la scollatura si intravedeva un piccolo seno, fin quasi al capezzolo d'un pallido colo rosa.
Attorno alla vita giaceva uno scialle, anche questo bianco, che doveva essere scivolato durante il sonno.
Tonio, immobilizzato dalla visione, non sapeva che fare: avrebbe voluto andare via, uscire. Se la Fanciulla si fosse svegliata senz'altro, vedendolo, si sarebbe spaventata. Invece, seguendo un impulso e con la stessa determinazione che anche nei sogni più terrificanti fa rifiutare il risveglio, si avvicinò e, piano, prese lo scialle caduto e con estrema delicatezza lo adagiò sulle spalle della Dormiente; poi indietreggiò e guardò le sue mani: non avrebbe mai immaginato che queste fossero capaci di tanta delicatezza.
Ma c'è una delicatezza che è più fragorosa di una cascata, e quel semplice gesto bastò a risvegliare la Dormiente.
Essa lo guardò. Spesso gli occhi delle donne sono chiari specchi del giorno; quelli della Donna erano profondi e inquietanti come una notte senza stelle.
Tonio fu costretto ad indietreggiare dalla forza di quello sguardo, che pure non era spaventato o cattivo. Era soltanto di un'estrema dolcezza, tanto forte da risultare terribile.
Tonio fu preso da un tremore che iniziava dallo stomaco e si diffondeva in tutto il corpo, e le gambe, quelle gambe così robuste, sembravano sciogliersi tanto che istintivamente cercò un appiglio.
Tentò poi di mormorare qualche parola di scusa mentre l'imbarazzo per aver svegliato la Fanciulla lo sommergeva fino a quando, non potendo più trattenere l'emozione, iniziò a muoversi avanti e indietro per la stanza, gesticolando e borbottando parole senza senso.
In un crescendo ormai inarrestabile Tonio si muoveva per la stanza, ora cercando di prendere le mani della Fanciulla, ora cercando i suoi vestiti ora precipitandosi verso la porta, di fronte alla quale si immobilizzava, per poi tornare nuovamente verso la Donna, e certamente avrebbe continuato così fino ad impazzire se Questa non lo avesse fermato.
"Grazie signore, grazie per avermi svegliata" Ella gli disse mentre lo tratteneva tenendolo per un braccio.
Chi avrebbe mai pensato che una mano così piccola fosse capace di tanta forza, eppure bastò che questa sfiorasse appena il braccio dell'uomo per fermarlo, come d'incanto.
"Grazie per avermi svegliata" - ripeté la Donna - è tardi e proprio devo andare".
Così dicendo, con una voce che pareva scaturire dalle profondità degli abissi eppure era dolce come il bacio di un'amante, la donna passò le mani sul volto ispido dell'uomo, offrendogli così il più dolce e il più bello dei ringraziamenti.
Bastò questo semplice gesto per rasserenare Tonio e tutti i suoi timori e i segni lasciati da innumerevoli umiliazioni, si trasformarono in un senso di tenerezza infinita che scagliava tutto il suo essere verso la giovane Donna; e tanto era stato il tormento provato nel vederla quanta la gioia che provava adesso nell'esserle vicino.
Nel suo cuore esplose allora un sentimento nuovo, che era assieme un interrogativo e un'offerta: questo sentimento sembrava chiedere continuamente "perché?" e contemporaneamente, senza che la risposta gli importasse, offriva tutto se stesso in un impeto travolgente.
Tonio capiva che la Donna sarebbe andata via, e lui non l'avrebbe rivista mai più; forse neppure in sogno; allora pensò di offrirle qualcosa, una traccia, affinché continuasse a vivere almeno nella sua memoria; ma cosa poteva offrire lui, così povero?
Il poco denaro che possedeva, la sua forza tutta, l'avrebbe donata assieme alla sua stessa vita, ma cosa ne avrebbe fatto di tutto ciò la Fanciulla?
Improvvisamente si ricordò di quella luce. Tonio sapeva che tutto ciò che brilla piace alle donne, forse perché la luce è il sorriso degli angeli.
Gli avrebbe offerto quella piccola luce che aveva trovato. Tonio andò a prendere la scatola, la rovesciò sul tavolo e freneticamente cercò fra quelle cianfrusaglie. Eccola finalmente la piccola luce! Tonio la raccolse usando la stessa cautela con cui un bambino prende un pulcino neonato e si voltò, tenendo le mani socchiuse sul suo tesoro.
Ma la stanza era vuota e la porta aperta, allora si precipitò fuori alla ricerca della Donna e corse all'abbraccio della notte con lo stesso impeto cono cui corre un amante all'abbraccio dell'amata.
Corse come corre chi nel suo cuore porta un segreto troppo prezioso per rivelarlo persino a se stesso.
Corse fin che cadde, rotolando sul campo coperto di rugiada.
Quella fu l'ultima volta che Tonio respirò l'umido odore della terra. Sollevò le mani ormai vuote, ancora giunte a coppa, e le rivolse come un'offerta o una preghiera alla Luna che ora, splendida, brillava nel cielo.

Giovanni Francomacaro