scenario n.2
Lė sola
"La coscienza? E' il marchio di fabbrica della ditta..." mi sussurrasti ironico. Il tuo marchio di fabbrica riluceva in specchietti, microvisori, teleobiettivi di finissima percezione, tutti appesi addosso.
"Coscienza e vigliaccheria sono la stessa cosa" pensai, ma non lo dissi.
Intanto camminavamo affiancati, io e tu, sul sottile confine dove non č terra e non č mare. Aspettavamo, aspettavi, con la passione che mettevi in ogni capriccio, l'Onda anomala, l'Onda definitiva. I tuoi specchietti avevano ansia di fissarla nella loro prigione dorata.
Ed io ero, di quel capriccio, nient'altro che l'onda senza spuma, che mai avresti cercato di inchiodare alla certezza millimetrata dei tuoi obiettivi.
Io stessa continuavo a chiedermi il senso di quei passi sulla sabbia, affiancati ai tuoi. Avrei potuto dirti, allo stesso modo: "ti amo", oppure "io ti temo". Ma sono le passioni sulla cui origine ci inganniamo quelle che ci tiranneggiano maggiormente. I nostri impulsi pių deboli - ragionavo - sono quelli la cui natura ci č chiara. Annuivo silenziosamente, allora, contentandomi della poca luce riflessa che mi teneva nella penombra di me stessa.
Attorno a noi, d'altronde, l'isola era come una cintura di nebbia, che tu eri ansioso di diradare, dissolvere, nominare granello per granello, fiore per fiore, stella per stella.
"Dare luce alle cose..." , cosė lo chiamavi. Ne rabbrividivo, come fosse una condanna.
Lo era, in certo senso.
Cosė, quella notte lo feci. Non era odio - come fu detto poi - piuttosto una specie di perdono, immagino.
Quando giunse l'Acqua Divorante le lasciai il tuo corpo muto. Sussurrai appena al tuo orecchio, prima che quel vasto movimento trasparente ci separasse: "Sai? L'impossibile esiste...".
I tuoi specchietti digitali brillarono un'ultima volta, come un sė.
Attomancato