- Euritos - disse Iole - è tempo di andare. Fra poco nei pressi
dell'agorà poseranno le prime pietre del tempio di Estia(1) io
deporrò questo medaglione con l'effige della Dea sotto la pietra,
un giorno tu lo riprenderai.
Euritos voleva parlare, non capiva perché la moglie dicesse così.
Ma Iole gli chiuse le labbra con un bacio e continuò:
- Euritos marito e unico bene mio, non chiedere ora quello che gli
dei già vedono, noi ci affidiamo ad Estia da cui discendo, ricordati
che io sarò la tua vita e la tua pace, io custodirò i tuoi affetti. E se
un giorno tu ti ricorderai e troverai questo medaglione ritroverai
anche me e quello che ti fu caro. Cercami nella semplicità della
natura, cercami dentro di te in ogni luogo ed io sarò lì amore
mio.
Lo baciò di nuovo, per impedirgli di parlare poi disse: - adesso
andiamo è tardi.
Così parlò Iole che discendeva da Estia e dalla stirpe del grande re
Hyblon.
E con Asclepia e Iole Euritos si avviò dove stavano erigendo il
tempio di Estia e lì vide che Iole fece sollevare, dagli uomini che
lì lavoravano, un grosso masso squadrato e sotto vi mise il
medaglione con l'effige della Dea. Asclepis rideva...
Si risvegliò quindi e questa volta una sensazione di pace e di
tranquillità lo avvolse. Nonostante la morte della figlia era sereno,
forse per la prima volta nella sua vita era sereno.
Nel tardo pomeriggio di quel giorno seppellì la figlia. Sfuggì a
tutta la gente presente, si incrociò con la sua ex-moglie e
abbracciandola le disse addio.
Sapeva che non l'avrebbe più rivista.
Ritornò a casa, prese un enciclopedia e cercò Megara Hyblea(2),
sotto quella voce trovò scritto: antica colonia fondata nell'VIII
secolo a.c. dai coloni Dori di Megara di Grecia. Si trova in Sicilia
nei pressi di Augusta. Venne distrutta nel 214 a.c. dal console
Marcello, i romani la rasero al suolo e cosparsero il terreno di sale.
Gli scavi hanno portato alla luce resti della cinta muraria,
l'agorà..
Prese una cartina stradale, mise qualche indumento in un borsone,
salì in macchina e partì diretto in Sicilia, diretto a Megara Hyblea:
sapeva che doveva andare lì, non sapeva perché, non sapeva cosa
avrebbe trovato ma sapeva che doveva andare.
III
All'alba giunse sullo stretto è traghettò. A Messina imboccò
l'autostrada per Catania e cominciò il viaggio sulla costa orientale
dell'isola. Il mar Ionio era lì alla sua sinistra ed incantevole era il
paesaggio che scorreva. Folate di zagara rendevano l'aria
profumata, i colori erano forti e lui era anche stanco, ma si
sforzava di resistere al sonno e alla fatica. Intanto aveva passato
Naxos e Taormina, poi Acireale e finalmente Catania.
E all'uscita dell'autostrada raggiunse la superstrada per Siracusa e
dopo avere superato la città di Augusta trovò le indicazioni per gli
scavi di Megara e finalmente arrivò.
Un cartello avvisava che il sito archeologico si poteva visitare
dall'alba al tramonto. La zona era racchiusa e circondata dalla area
industriale che si estende da Augusta fino a Siracusa. Si vedeva il
mare e si rese conto che quella che doveva essere stata una delle
più belle coste della Sicilia adesso era distrutta dalle raffinerie e
l'aria era ammorbata dai loro fumi. Si vedeva la rada di Augusta e
la parte di quella città che sorge sull'isola e domina la baia e tutto
il golfo pieno di navi .
Cominciò ad aggirarsi fra quelle pietre, non c'era nessuno, solo un
cane scodinzolava di qua e di là. Niente di quello che vedeva gli
ricordava la città che aveva visto in sogno, vide la spianata dove
un tempo c'era l'agorà e qui si sedette sopra un masso.
E fu allora che rivide com'era quella città e vide se stesso-
Euritos- mentre arringava i suoi concittadini a mantenere
l'alleanza con Siracusa e Cartagine contro Roma per mantenere
libera la città di Megara. E allora l'Oracolo di Apollo disse che
grande sciagura sarebbe stata per la città quella guerra e tutti
ebbero turbamento dalla predizione e avevano paura. Allora il
figlio dell'Oracolo attaccò con parole pesanti Euritos
denigrandolo davanti alla folla.
E Euritos salendo sulle scalinate del tempio disse ai suoi
concittadini:
- Io Euritos della progenie di Lamis e dei padri
fondatori della città che nacque libera vi dico che non è il tempo
della codardia ma del coraggio, del coraggio per far si che
possiamo vivere da uomini liberi. - Alzò la spada al cielo e disse: - la
mia spada o con gli Dei o contro gli Dei per la difesa della nostra
libertà.
Allora Stetis figlio dell'Oracolo lo schernì ed Euritos accecato
dalla rabbia lo trafisse nel petto con la spada.
L'oracolo di Apollo si strappò le vesti e sorreggendo il capo del
figliolo morente disse:
- Sii maledetto tu Euritos, grave torto hai
fatto oggi agli Dei. Non avrai discendenza maschile affinché il tuo
seme non possa riprodursi e le tue figlie femmine non vivranno
così a lungo da poter lasciare il gineceo paterno. Non vagherai nel
mondo delle ombre ma tra i vivi ti sarà sempre rinnovato il dolore
di piangere i tuoi figli come io piango il adesso il mio.
E le visioni di quel tempo lontano si susseguivano e vide i
megaresi piangere quando seppero della caduta di Siracusa e vide
quel giorno quando non ostante le mura della città fossero state
rinforzate i romani riuscirono a penetrarvi.
Vide gli incendi e sentì le grida dei bambini, dei vecchi e delle
donne.Si combatteva accanitamente in ogni via,in ogni angolo in
ogni casa. E vide le aquile romane avanzare nella loro danza di
morte.
Euritos ansimava dalla fatica, le sue armi erano arrossate dal
sangue dei nemici, si mise a correre dunque verso la sua casa
nell'estremo tentativo di difendere la moglie e la figlia. Vide
l'incendio e dentro vide che la moglie giaceva a terra con la
figlioletta Asclepis abbracciata. E fu l'ultima cosa che vide prima
che il ferro lo trapassasse dalla schiena e un'altra lama dal
davanti.
Si scosse allora e si alzò. Tutto era come prima: le rovine si
estendevano ai suoi piedi nel silenzio più assoluto e solitarie a
parte quel cane che lì ancora girava.
Guardò la spianata dell'agorà e cercò di individuare dove poteva
essere il luogo del tempio di Estia e quando gli parve di averlo
individuato notò un filare di massi squadrati nel terreno a modo di
basamento.
Non pensò se tutto questo fosse assurdo, non pensò alle sue
convinzioni e ai suoi credo: li aveva sepolti nello stesso momento
in cui aveva deciso di venire in quel luogo.
Allora come una furia si mise a scavare sotto quei massi e alla fine
li smosse. Ed ecco che sotto uno di quelli vi era un medaglione, un
medaglione vecchio di più di 2000 anni. Raschiò la terra: l'effige
della Dea Estia era ancora perfettamente visibile!
Capì che doveva cercare sua moglie Iole e si sentì librare leggero
nell'aria.
La cercò tra le messi dorate che ondeggiano nei campi, nel
profumo dei fiori dei prati e sulla rugiada che solca foglie. La
cercò nei fiumi e tra le canne piegate dal vento e alla fine si
ritrovò seduto sulla riva di quell'antico mare.
Era il tramonto e il cielo infuocato dipingeva di rosso il mare per
salutare quella lunga giornata che andava e fu allora che
nell'acqua la vide.
Si ergeva fino alla vita e in braccio teneva la figlioletta Asclepis e
alla sua sinistra c'era l'altra figlia perduta da poco e vicino a loro
c'erano delle altre bimbe e fanciulle che gli sorridevano.
E lui vide che era sua moglie Iole l'unica donna amata e riconobbe
le altre vicino a loro e di ognuna ne ricordava il nome e l'amore e
per ogni figlia di quelle vite passate si rinnovò in lui il dolore
della loro scomparsa.
Ma adesso erano lì che gli sorridevano e gli tendevano le braccia e
lui allora entrò in acqua e le abbracciò e loro lo abbracciarono,
anche Iole lo abbracciava finchè l'acqua si chiuse sopra di loro.
Non si seppe più nulla di lui.
Il corpo non fu mai ritrovato.
Ma i marinai che solcano quel mare raccontano che nelle notti
quando splende alta la luna e quelle acque diventano argentate si
può vedere sulle rive di quell'antico mare un uomo che gioca e
culla le sue figlie sulle onde mentre poco più in là una sirena
nuota e libera nell'aria un canto dolcissimo come mai avete udito.
E non c'è da aver paura perché è bello vederli così felici e, se
avete la fortuna di incontrarli, allora sarete certi che il mare vi sarà
amico.
Racconto fantastico di En, dedicato a Nic e Mary grandi e
splendidi amici di questo fantastico mondo virtuale.
FINE
1) Estia: Dea greca della famiglia e del focolare, assimilabile alla
Vesta romana.
2) SCAVI DI MEGARA HYBLEA
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